mercoledì 18 febbraio 2015

Ilaria Alpi: il teste fa retromarcia

Ahmed Ali Rage, testimone nell’inchiesta per l’omicidio della giornalista e di Miran Hrovatin, ora dice: «Io non ero là, mi hanno pagato: dovevo indicare un somalo»

di Lavinia Di Gianvito

Ahmed Ali Rage, ribattezzato Jelle, un nome che torna dal passato. Da un passato lontano più di dieci anni, quando la sua testimonianza era servita per inchiodare il miliziano somalo Hashi Omar Hassan all’accusa di aver ucciso, il 20 marzo ‘94 , la giornalista del Tg3 Ilaria Alpi e l’operatore Miran Hrovatin. Un mistero mai svelato fino in fondo, quello dell’agguato a Mogadiscio, e ora al centro dell’ennesimo colpo di scena. Perché Jelle, irreperibile per l’Italia ma non per «Chi l’ha visto?», davanti alle telecamere della trasmissione di Rai3 si è rimangiato la verità di allora: «L’uomo in carcere è innocente. Io non ho visto chi ha sparato, non ero là
. Mi hanno chiesto di indicare un somalo».

Vero? Falso? L’unica certezza è che Rage aveva indicato Hassan al pm Franco Ionta durante l’inchiesta. Poi era fuggito all’estero, evitando di ripetere la deposizione al processo. Nel frattempo Hassan, giunto a Roma nel ‘98 per testimoniare sulle presunte violenze dei militari italiani ai danni della popolazione somala, appena conclusa la deposizione era stato arrestato («Vergognoso», aveva protestato all’epoca il suo avvocato Douglas Douale) e poi rinviato a giudizio. Assolto in primo grado, in appello era stato condannato all’ergastolo, pena diminuita a 26 anni il 27 giugno 2002 nel processo d’appello bis. La sentenza è poi diventata definitiva in Cassazione e Hassan è rinchiuso nel carcere di Padova.

Adesso, stando a una nota diffusa dalla redazione di «Chi l’ha visto?», Jelle sforna un’altra verità. Opposta alla prima. Secondo lui, «gli italiani avevano fretta di chiudere il caso» e per questo gli avevano «promesso denaro in cambio di una sua testimonianza al processo: doveva accusare un somalo del duplice omicidio». Hassan insomma sarebbe stato un capro espiatorio, come all’epoca avevano sostenuto i genitori di Ilaria Alpi: la figlia, hanno ribadito infinite volte negli anni, è stata assassinata perché aveva scoperto un traffico di armi e di rifiuti tossici. Il somalo, a sua volta, dopo la condanna aveva protestato la sua innocenza tra le lacrime: «Non ho nulla a che vedere con questa storia, l’Italia è la sola responsabile del delitto».

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