sabato 18 luglio 2015

La pirata Julia Reda, il copiright ed i lobbisti...

Intervista alla "pirata" Julia Reda, che il parlamento europeo ha incaricato di studiare come cambiare la normativa vigente. E che ci raccontato come ha formulato le sue conclusioni: "Serve una legge comune in Europa sul diritto d'autore"

di FRANCESCA DE BENEDETTI

UNIRE L'EUROPA sotto la bandiera del libero link e sprigionare la cultura in rete. Ci sta provando una 29enne. "Le vecchie regole, quelle pensate quando ancora non esistevano Youtube e Facebook, stanno frenando la cultura e la conoscenza", dice la pirata all'arrembaggio del copyright europeo. Il suo nome è Julia Reda, tedesca, capelli corti, grandi occhiali e nessun trucco. Giovane ma con alle spalle ben 13 anni di militanza politica, prima nel partito socialdemocratico tedesco (SPD) e poi nel partito pirata. È lei l'unica pirata eletta a Strasburgo. A lei il Parlamento europeo ha affidato il compito di analizzare la vecchia direttiva europea sul copyright datata 2001. Detto fatto. Julia Reda ha appena confezionato e reso pubblica la proposta che il Parlamento metterà ai voti in primavera, in vista della riforma europea sul copyright promessa dalla Commissione Juncker. Reda l'ha fatto a modo suo: tentando un dibattito aperto e bilanciato, rendendo pubbliche tutte le richieste di incontro ricevute dai lobbisti. "Dimostrando  -  parole sue  -  che i pirati sono guidati dal buon senso". Sì, ma per arrivare a quale conclusione? Glielo abbiamo chiesto


IL RAPPORTO REDA (PDF)

Cosa non va nelle norme sul copyright europee oggi?
"Abbiamo una direttiva europea che risale al 2001: il peccato originale è che è stata concepita ben 13 anni fa. L'altra grande debolezza è la mancanza di armonizzazione legislativa tra gli Stati membri. In pratica, chiunque di noi abbia navigato in internet si è imbattuto prima o poi nella scritta: "Questo contenuto non è disponibile nel tuo Paese". Una cosa simile, in un mercato comune come il nostro, non dovrebbe accadere. E può essere drasticamente ridotta introducendo una riforma europea del copyright che si applichi direttamente in tutti i Paesi dell'Ue. L'ultima volta che l'Unione ha affrontato la questione a livello normativo, e cioè nel 2001, Youtube e Facebook non esistevano neppure. La gente non girava con degli apparecchi in tasca che le offrivano la possibilità in qualsiasi momento di creare, consumare, remixare e condividere i media. Il risultato? Molti gesti che fanno ormai parte della nostra quotidianità, come postare foto di edifici pubblici sui social oppure condividere il fotogramma di un film che ci è piaciuto, sono illegali in parecchi Stati membri. Mentre noi ci "scambiamo" sempre più cultura, ci vorrebbero nel frattempo gli avvocati esperti di 28 differenti normative sul copyright per dimostrare che non stiamo facendo niente di illegale. E non sono solo gli utenti a venire penalizzati dall'incertezza e dalla frammentazione del diritto. Un esempio? Anche le biblioteche e gli archivi hanno sempre più difficoltà ad assolvere al loro compito, nonostante sia di pubblico interesse: è difficile per loro anche solo determinare quali opere siano vincolate da copyright. E poi le opere digitali come gli ebook spesso vengono considerate dalla legge in modo differente rispetto alle opere materiali come i libri di carta".

Cosa potrebbe cambiare con la bozza che lei ha presentato, e quali azioni concrete si aspetta?
"Io sostengo l'introduzione di una legge sul copyright comune in Europa. Come minimo, le eccezioni alla protezione del copyright devono essere estese in modo standard in tutta l'Unione. Questo perché abbiamo bisogno che le eccezioni coprano gli usi scientifici ed educativi delle opere, bisogna tener conto dei modi in cui oggi le persone fruiscono dei media e interagiscono. Abbiamo bisogno di una legge "future-proof", elastica, che sia in grado di rispondere alle urgenze del futuro, anche quelle che oggi non possiamo neppure immaginare. Altrimenti tra pochi anni ci ritroveremo come ora, con leggi che non reggono più. La mia proposta prevede anche di rafforzare il potere negoziale degli autori nei confronti di editori e intermediari. E che tutti i contenuti prodotti dai governi siano copyright-free".

Da una parte le trattative per la liberalizzazione dei commerci con gli Usa, dall'altra la risoluzione approvata da Strasburgo su Google: sono due delle iniziative già in campo che potrebbero avere effetti sulla questione copyright. Come si intreccia la sua proposta con i percorsi già avviati dall'Ue?
"Gli accordi internazionali limitano le possibilità di manovra legislativa, per cui dobbiamo fare attenzione che il TTIP (Trattato transatlantico su commercio e investimenti), CETA (il trattato Ue-Canada) e altri accordi non ci privino della possibilità di fare una riforma sensata del copyright: il rischio, se non interveniamo in tempo, è quello di ritrovarci con le leggi deboli di ieri scritte sulla pietra dura dei trattati di domani. Purtroppo finché i negoziati avvengono in segreto, per la società civile è difficile reagire in tempo. Quanto ai tentativi fatti da Spagna e Germania per imporre una "Google tax" a Google se voleva far comparire le notizie in Google News, quello sforzo è subito fallito quando è diventato evidente quanto quei siti di notizie si avvantaggiassero dal comparire nel motore di ricerca. Mi preoccupa che il commissario Ue per l'economia e la società digitali Günter Oettinger abbia fatto intendere di voler applicare uno schema simile su scala europea: non condivido affatto. La mia posizione è: facciamo pagare ai "giganti" le loro tasse impedendo le scappatoie, invece di farlo limitando la condivisione delle informazioni online".

In Italia un'autorità amministrativa, l'Agcom, con un regolamento sul copyright si è riservata il potere di intervenire bloccando alcuni siti senza che prima ci sia un intervento dell'autorità giudiziaria o che ci sia stata una discussione parlamentare sulla materia. Questo, se la riforma europea venisse approvata, come cambierà?
"Secondo me i blocchi sul web sono una cattiva idea in generale. Lo Stato non dovrebbe stimolare i provider internet a mettere in piedi infrastrutture di tipo censorio, tanto più a stilare liste segrete di siti bloccati e a fare tutto ciò senza supervisione giudiziaria. Ci sono molti casi di siti perfettamente legali che sono finiti in quelle liste. Il fatto
che questo approccio sia ancora consentito o no in futuro, dipende dalla specifica legislazione in materia. Quando il commissario Oettinger presenterà la sua proposta di riforma tra qualche mese, considererò di introdurre un emendamento che impedisca questa pratica".

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