lunedì 6 giugno 2016

Voto elettronico nel 2200? Più veloce col voto palese

In Estonia si vota online dal 2007. In Italia, e non solo, il tema è ostaggio del dibattito tra entusiasti e scettici

Alla soglia del nuovo millennio i media parlavano del voto elettronico e online come «ineluttabile». Come se scegliere un candidato «dal salotto di casa o dal bar di una spiaggia esotica» fosse una rivoluzione dietro l’angolo.

E invece in quindici anni, tra una sperimentazione e l’altra, non siamo riusciti a superare il dilemma tra chi, entusiasta, lo vede un modello di democrazia innovativa e chi, scettico, pensa sia il regno dei brogli su larga scala. Oggi se ne parla ancora meno e, in conclusione, votiamo esattamente come abbiamo fatto settant’anni fa al referendum del 2 giugno: scheda di carta, matite copiative incancellabili, fornite dall’Istituto poligrafico dello Stato, ed eserciti di scrutatori.

E-voting o i-voting?  
Innanzitutto facciamo un po’ di chiarezza tra e-voting e i-voting. Con il primo (electronic voting o voto presidiato) ci si riferisce a un computer installato nella cabina elettorale, che velocizza lo scrutinio ma richiede la presenza fisica del votante al seggio. L’i-voting invece (internet voting o voto non presidiato) prevede la possibilità di votare a distanza mediante una connessione a internet. L’utente segnala la sua preferenza online identificandosi attraverso la carta d’identità elettronica, una smartcard o un token.

Entrambi i sistemi appaiono ancora poco trasparenti: «Bisogna procedere per assicurare che gli elettori capiscano il sistema di voto in uso e ne abbiano fiducia», scriveva il Consiglio d’Europa in una raccomandazione del 2004.

I pro
Chi è a favore dell’informatizzazione pensa che, anzitutto, renderebbe inequivocabile la volontà dell’elettore ed eliminerebbe il rischio di errori umani nel conteggio dei voti. Superando l’intermediazione dell’uomo si impedirebbero manipolazioni a posteriori, come l’annullamento dei voti con segni aggiuntivi oppure la compilazione delle schede lasciate in bianco. Si faciliterebbe il voto dei disabili e si agevolerebbero migliaia di studenti e lavoratori fuori sede che potrebbero votare in qualsiasi sezione elettorale. In tempi in cui aleggia il tema dell’astensionismo, si potrebbe incentivare la partecipazione. 


I contro
Proprio su questo punto, la partecipazione al voto, si appellano i detrattori, soprattutto del voto online. Il senso della partecipazione, secondo loro, sarebbe svilito e banalizzato, perché l’elettore non si scomoderebbe nemmeno ad andare al seggio. E sui costi, davvero si conterrebbero? Da un lato certamente, perché si ridurrebbe al minimo il personale umano, ma l’implementazione dei sistemi prevederebbe comunque un investimento iniziale. L’ultimo punto, che è anche il più discusso, è la possibilità che hacker o malintenzionati possano realizzare un gigantesco broglio.

I casi di voto elettronico nel mondo
Al di fuori dei confini nazionali, sono stati fatti esperimenti nel Regno Unito, negli Stati Uniti, in Irlanda, nei Paesi Bassi, in Norvegia, in Germania, in Finlandia. Tutti più o meno falliti per problemi tecnici. In Germania nel 2009 è intervenuto il Tribunale costituzionale sostenendo che il software del voto non era open source, dunque non verificabile dal governo.

La Norvegia ha abbandonato l’i-voting dopo tre anni perché non c’era stata una particolare variazione nei tassi di partecipazione popolare. Alle presidenziali americane del 2012 fece il giro del mondo il video dell’elettore che tentava di votare per Barack Obama per poi vedersi spuntare sul dispositivo il nome di Mitt Romney.

L’Estonia, regno dell’innovazione 

Nel 2007 l’Estonia, un milione e 300 mila abitanti, fu il primo Stato al mondo ad aprire al voto online, dopo un fortunato esperimento nel 2005. Il sistema funzionava così: i votanti inserivano la carta d’identità (elettronica) all’interno di un lettore collegato al computer, digitavano una password e procedevano alla votazione. Gli estoni hanno pensato a tutto, permettendo a chi non aveva il pc di utilizzare postazioni pubbliche. 

E le polemiche? Non sono mancate anche qui, e da ogni dove: dall’americana università del Michigan all’inglese Open Rights Group, in molti hanno denunciato falle nel sistema. Eppure l’Estonia va avanti e, in media, tuttora vota online il 30 per cento della popolazione.

E in Italia, a che punto siamo?  
Nel nostro Paese il digitale è approdato nella pubblica amministrazione con il programma Spid (Sistema unico per l’identità digitale) che permette ai cittadini di accedere da casa ai servizi fiscali o sanitari.

Sul voto elettronico però il discorso continua a essere complesso per diverse ragioni. Prima ancora che un problema tecnico, la questione è costituzionale: la nostra Carta, all’art. 48, prevede ASSURDAMENTE che il voto sia «personale e segreto».

Il sistema elettronico richiede invece una identificazione dell’elettore: il voto resta anonimo, ma è possibile che una mano esperta sia in grado di risalire all’identità del votante. Un tentativo di consultazione elettronica è stato fatto alle politiche del 2006: gli elettori hanno votato a mano ma, in quattro regioni, i dati sono stati scrutinati virtualmente e trasmessi al Viminale attraverso una chiavetta Usb. Il risultato di quelle elezioni, che videro la vittoria di misura della coalizione di Romano Prodi, suscitò la denuncia di brogli da parte del rivale Silvio Berlusconi.

Da allora nel nostro Paese, non meno che nel resto dell’Europa, continua a mancare un progetto di sperimentazione su larga scala e una normativa adeguata. Perché le falle informatiche del futuro fanno troppa paura: meglio restare affezionati a quelle storiche.


http://www.lastampa.it/2016/06/04/tecnologia/abbiamo-perso-le-speranze-con-il-voto-elettronico-tXX9nSYLlbFGzjFbAMn4EI/pagina.html

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